Un suggestivo labirinto intriso di profumi

UN SUGGESTIVO LABIRINTO INTRISO DI PROFUMI
(Pilar Fernández “RETORNO A LA CIUDAD DE LOS ESPEJOS”)

Eleonora Mozziconi
Davide Toffoli


“Retorno a la ciudad de los espejos” è una silloge pubblicata nel 1992 nella Colección “Alcazaba” della Diputación Provincial de Badajoz; l’autrice è Pilar Fernández, nata a Badajoz nel 1959, che dal cuore dell’Estremadura affronta un vero e proprio viaggio in versi, muovendosi con animo attento e insaziabile da flâneur tra le strade di una città soltanto evocata. Si respira l’aroma soave della brezza di una Lisbona, che mai viene realmente nominata e che quindi conserva un fascino particolare, intriso di oggetti squisitamente reali e simbologie quasi esoteriche, che le permette di fondersi a tutte le città possibili in un non-luogo al tempo stesso esatto e indefinito.

È una poesia composta da scatti rapidi e fuggenti, da brevi frammenti assolutamente privi di rime e punteggiatura, ma intrisi di profondo e puro lirismo (“Surges bella y ociosa / sembrada de farolas / ciudad de tanta muerte / en tu verdes pupilas un esplendor de estatuas”). I versi sono sempre carichi di colori (“Lagos de piedra blanca detenida en el tiempo”; “Por un mar de olas rojas y dragones suicidas” (…) “al timón horizonte de luz rubio esmeralda”), spesso concentrati su giochi e su effetti di luce (“En la ciudad dormida / de dorados tranvías y palomas oscuras / buscábamos un cielo más puro de luciérnagas / un mar de carabelas azules y astrolabios”; “…es como una caricia de sal / un blanco lienzo / que la lluvia oscurece”), con atmosfere che prediligono situazioni di crepuscolo, di penombre o di passaggio (“La ciudad nos habita / con la caricia blanca y azul de sus almenas / laberinto en penumbra”; “Partieron una tarde con la luz del crepúscolo / hacia tierras dormidas”).

Le liriche della Fernández trasudano una profonda intimità del viaggio e del racconto, che avvolge emotivamente il lettore con una grande quantità di odori, spesso ben decifrabili, ma anche insinuanti, misteriosi ed evocativi (“Amarte es un delirio / de vagones a oscuras / de luna solitaria con aroma a jazmines / se me ofrece como una flor nocturna / sólo yo he conocido / su secreto perfume”; “Su bahía perfumada de limones y velas”; “Tienes un eco amargo de lentas carabelas / cataratas de pájaro de lluvia de perfume / en los negros arcones / todos los signos dicen de tus amaneceres / ciudad de los espejos”). La fragranza più presente è quella squisitamente estiva del gelsomino notturno, chiamato in causa con nomi affascinanti e sempre diversi ( “Dama de Noche”, “jazmines” o ”Galán de Noche”).

La poetessa si lascia sedurre da un’intrigante “fascinazione del confine”, preferendo atmosfere di nebbia o penombra, immagini quasi mai dirette, che vivono piuttosto nei rimandi di esse che derivano dagli ambienti circostanti e che parrebbero sottolineare l’irremovibile sacralità di ogni punto di vista, seppur conservando l’indiscutibile centralità dell’io. Il profondo senso di mistero, che caratterizza i suoi versi, si addensa soprattutto nelle linee di confine e nei luoghi di incontro, proponendo di volta in volta simboli diversi quali l’orizzonte, una riva bagnata dalle acque, una barca che smuove il mare calmo lasciando una scia di spuma come sottile traccia (“adivina si puedes la linea misteriosa / entre il cielo y el mar / dos paraísos iguales”; “Las olas no saben de amor / y te buscan / fragrantes y rubias ascende tus muslos / cuando indiferente paseas por la orilla / ajeno a su ritmo / de lentas caricias”).

Le sue liriche sono vere e proprie istantanee, scattate dall’occhio vigile del flâneur, che ritorna, affronta la città e si inoltra nei suoi meandri più oscuri ed intriganti (“Tú frente a los cavallo de piedra / y el estanque / bordado de nenúfares / en el ángulo izquierdo un cisne solitario / la técnica transforma en materia / el recuerdo”). Tra ricordi, sogni, desideri e memorie, lungo i binari dei tram, nella città senza nome, non mancano riferimenti intrisi di esotismo quasi sacralizzante (“Íbamos de la mano / por la ciudad sin nombre / entre leones de piedra blanca y enredaderas / evocando la rosa lejana de los vientos / el llanto en los pezones / de alguna diosa negra”).

Tuttavia, il vitalissimo viaggio delle liriche vede apparire ossimoriche presenze di morte che rimandano ad una sorta di “paradosso dell’amore” (“Tus palabras / me cubren de lenta muerte dulce / paisaje devorado por tiernos escorpiones / golondrina de sangre y harapientas estrellas / infierno donde oculta sus dardos / la locura”); la raccolta si chiude proprio sotto questo segno, all’apice del viaggio, con la lirica “Cénit” (“Como un lento cadáver / que caminara a ciegas / que dijese calabra vacías / y sintiera como la sangre ardiente / deserta sus arterias / tu ausencia”).

La “Città degli Specchi” di Pilar Fernández è un suggestivo labirinto in cui, da lettori, vale di certo la pena perdersi.


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