GLI EQUILIBRISMI DELLA RICERCA “…NEL VENTO, / DELL’ANGOLO PERFETTO”


(Zingonia Zingone, “L’EQUILIBRISTA DELL’OBLIO”
traduzione dell’autrice e di Pietro Federico)
Eleonora Mozziconi
Davide Toffoli

“L’EQUILIBRISTA DELL’OBLIO” è una pubblicazione bilingue del 2011, della Raffaelli Editore di Rimini. E’ una sorta di “dialettica bipolare” quella che lascia scaturire la poesia di Zingonia Zingone, autrice e animatrice culturale cresciuta tra Italia e Costa Rica, Dire senza nascondere, senza celarsi dietro eleganti e altezzose maschere di parole difficili o desuete, evidenziando la profonda colloquialità di Ernesto Cardenal o la conoscenza impura e deflagrante di Pablo Neruda. Nella preziosa prefazione di Alicia Partnoy si rimanda alla riflessione lucida e personalissima di Claribel Alegría. Gitana per il mondo, affranta dal dolore degli oppressi, è capace di ricreare il mito intrecciando in maniera semplice e naturalissima il quotidiano e l’eterno; una corda tesa sulla quale camminare con prezioso equilibrismo, non rassegnandosi mai a precipitare nel burrone dell’oblio. La raccolta si apre con una citazione apocalittica (Ap 12,1-2), in un riferimento sacro al “femminile” più alto, seguita immediatamente da un’altra di Paul Beauchamp: “…La letteratura apocalittica nasce / per aiutare a sopportare l’insopportabile…”. Con queste chiavi di
lettura ci addentriamo nel viaggio poetico per incontrare subito un piede nudo “…dalle dita perfette / nella sua zucca, lontano nell’alba”, sospeso in una dimensione quasi onirica, tra futuro e ricordi. La dimensione ha sempre i contorni del sogno e spesso risulta fuorviante (“Pasar por el marco de la puerta / sin saber si has entrado / o estás saliendo”); anche quando, in fondo al corridoio, appare il corpo misterioso di un uomo, camminatore immobile, sul suo tapis roulant: “es un cuerpo que camina / sobre una banda rotatoria / y tú, una fantasía, / poco más de lo que fuiste / más de lo que serías”. Si cerca l’apice dell’equilibrio (“La bailarina de Degas”), ma la caduta è inattesa e sempre dietro l’angolo (“Pierde el contrapeso del olvido / y precipita / y se quiebra”). “Camina la cuerda en equilibrio…”, “Camina de punto a punto…”, “Vira la cuerda en el viento…”, “Sigue la cuerda el camino…” oltre che come incipit decisamente efficaci, suonano piuttosto come dichiarazioni d’intenti. E’ una poesia di contrasti: il più evidente resta quello tra tangibile e intangibile (“No me queda más / que el tacto de lo certero / el sofá tres almohadas / mientras el alma / como el humo de un puro / asciende lenta”; oppure “Veo las nubes pasar / bajo el avión // así pasan / tupidos / mis temores / mis heridas / hombro a hombro”). Si parte per cercare di sopportare il dolore, per trovare un Dio in cui credere, per altruismo, per colmare un vuoto, ma in Zingonia si parte sempre e solo, in maniera costruttiva, verso il buio. Oltre questa partenza, il tema dello specchio e della mutevolezza, all’interno di esso, del volto al passare del tempo (“Es incómodo / mirarse en el espejo”; “y escrutarse es / escarbar la tumba / del viejo rostro”). “La culpa es una cárcel / que se erige en torno al alma / ladrillo sobre ladrillo” e la fuga da essa non può essere il volo, che rischierebbe di trascinare con sé ogni soffocante mattone; sembrerebbe piuttosto la fede, magari verso la Vergine Santissima, inginocchiandosi “con la entrega / del desasosiego / con la esperanza / de quien ha tocado el fondo”. La vita è una magia incoerente, da vivere in prima persona, ascoltandosi, magari rompendo gli schemi “con la Fortaleza de los mártires” y “el desapego de los locos”. La duplicità emerge, a tratti, anche nel doppio registro, che porta ad accostare colte citazioni in Latino a ludici riferimenti a Buggs Bunny. La Fede è un percorso da affrontare, spogliandosi di tutto il superfluo per trovarsi in modo reale (“Hoy me robaron un anillo. / Hoy me quité un peso de encima”); un percorso intriso di sana quotidianità (“Una mínima iglesia de adobe y campana / sumergida en las colinas / de olivos y cielos tersos. / Te ofrezco, Señor, renunciar / a los excesos de esta vida / moderna”). Ma la costante è il rapporto dialettico tra finito e infinito (“Tan sólo mirame / y dime que un riachuelo / une tu lago con el mar”), dove è auspicabile la visionarietà dei bambini per rifuggire una deleteria e asfissiante razionalità (“Es asunto de niños / eso de tener visión. / No es asunto mío / eso de fingirme sabia”). E’ salda l’attenzione alle periferie cosmopolite popolate di reietti o di randagi, ma anche alla tradizione che può apparire come gabbia, cornice o letto di fiume da seguire. Ma il dualismo più alto è quello del nome, Zingonia, dove troviamo inoltre la scissione tra città, mai compiuta, rifugio degli emarginati e bersaglio del più becero fondamentalismo dei razzisti, e poetessa, progetto invece perfettamente portato a compimento e capace di trovare “nel vento / l’angolo perfetto”: “Me llamo Zingonia / como el nuevo Bronx / no uso seudónimo”. La seconda sezione, “Nunca seremos hormigas”, si apre nel segno del biblico Qoeleth, con il già detto e pur sempre da ridire di turoldiana memoria. Ogni progetto sociale dell’uomo sembrerebbe destinato, inevitabilmente, a fallire (“Nunca seremos hormigas / cabizbaja muchedumbre / en elevación del bien común”), soprattutto per l’inesauribile cinismo dei potenti capace solo di alimentare l’odio dei fondamentalisti che “revientan las jaulas / en el nombre de Dios / porque ya no aguantan / al Emperador optimista // invadiendo el universo / $anguinariamente $onriente”. In un mondo fatto di spettatori vigliacchi ed inerti (“Nosostros seremos Creonte. Nosotros, los ciegos / habitantes del pueblo global / seguimos como Ismene / caminando cobardemente por la historia / refugiados en la red, ojos agachados / como si todo y nada estuviera
aconteciendo”). L’ultima sezione, “La ciudad invisible”, è una costante riflessione sulle nomadi profondità dell’anima (“Tiene algo de nómada / mi residencia fija”), dove non sembra esistere una pianta per orientarsi (“Mi errático deambular /…/ Teje / itinerarios antojadizos / por las sendas / de la esperanza y del olvido”), né tantomeno tracce possibili da seguire (“La arena cubre huellas / forma garabatos / en la playa / de tus vivencias”). Si affrontano ancora, in costante dialettica,  fisicità e spirito, polvere da sparo che cerca di uccidere l’aria del giorno; ma anche intimità e solitudine (“La luna se asoma / a la ventana / y quieta observa / los juegos del aire / una silueta en vilo / una mujer desarmada // los malabarismos de la soledad”). Si abbraccia in una toccante sinestesia questo costante intreccio di sfere sensoriali (“la melodía de tus ojos”). La sintesi perfetta, l’epilogo del viaggio, il presente e la parallela promessa di futuro è infine la Donna, dal cuore madre, dal cuore amante, dall’innata progettualità: “Una mujer lleva el corazón madre…”, Una mujer lleva el corazón amante…”, Una mujer escribe su mejor historia, / coloca su porvenir en el pico / de un ave migratoria / y busca en el viento / el ángulo perfecto”. Una donna, dal sapore fisico e sacro, di nome Zingonia.